Quando incontro i responsabili di pastorale giovanile, c’è una domanda che mi sento di porre con insistenza: chi sono i giovani che porteremo a Lisbona? Preoccupati di risolvere le questioni logistiche (che pure hanno la loro importanza), rischiamo infatti di affannarci per ciò che deve essere una preoccupazione successiva.
Sento dire spesso che a Lisbona ci sarà la prima Gmg dopo la pandemia, ma credo che il punto non sia questo. Al centro delle nostre preoccupazioni, non c’è un’attività da “fare”, ma delle persone da accompagnare e coinvolgere. La preoccupazione più importante non è che la Gmg “venga bene”, ma che i ragazzi facciano un’esperienza significativa per la loro vita. Perché questo accada è importante tornare alla domanda: chi sono? Ogni volta che tra una Gmg europea e l’altra c’è un viaggio intercontinentale (Panama nel 2019), inevitabilmente il coinvolgimento diminuisce. La scorsa volta in modo particolare, perché avvenne a fine gennaio, periodo che in Italia non è favorevole a queste esperienze. Si sapeva che un numero esiguo di partecipanti (un migliaio circa) avrebbe fatto diminuire l’attenzione; anche perché già c’erano segnali di una certa stanchezza. La pandemia ha fatto il resto e non solo perché ha allungato di un anno l’attesa del raduno di Lisbona.
I giovani sono segnati: la sfiducia, l’incertezza, l’esperienza del dolore e della fragilità hanno prodotto ferite di cui cominciamo oggi a percepirne la profondità. Il loro desiderio di immergersi nella vita e nel futuro che li attende li attrae come una potente calamita. Sarebbe normale che non dovessero mettere Lisbona in cima alla classifica dei loro desideri. Eppure sono molti i segnali che arrivano e dicono di un desiderio diffuso di partecipare a un’esperienza come questa. Le ultime estati sono state rallentate dal punto di vista delle esperienze di vita comune. Una spinta è venuta anche dall’incontro dell’aprile scorso a Roma dove, fra gli adolescenti, ce n’erano molti che quest’anno saranno in “età da Gmg”. La sensazione è che potremmo essere di nuovo sorpresi da giovani che continuano (nonostante tutto?) a vedere nella Chiesa una casa per la loro vita, anche se il viagcipalmente gio pur essendo europeo si preannuncia impegnativo.
Per costruire una buona esperienza, è importante capire chi sono i giovani con cui avremo a che fare. Anzitutto per amplificare la convocazione che il Papa ha lanciato più volte durante l’Angelus domenicale: sei/sette anni di distanza dall’ultimo incontro, ha fatto perdere un paio di generazioni e bisognerà avere la pazienza di spiegare ai ragazzi che cosa è una Gmg e perché li si vuole coinvolgere. Va aggiunto che soltanto la consapevolezza di ciò che sono oggi, rende possibile costruire un’esperienza efficace per loro. Ci stiamo convincendo che la bontà delle esperienze non risiede prin nel numero o nella tipologia delle cose che facciamo, ma nelle relazioni che riusciamo a facilitare: soltanto attraverso di esse sarà possibile l’accesso a un’esperienza di fede che non deriverà mai da
ciò che abbiamo in mente per loro. Si giocherà, piuttosto, nelle trame di vita che sapremo generare. Conoscerli e capirli è dunque un passaggio decisivo: prima che essere strategia, è segno di un affetto vero e profondo nei loro confronti e dovrebbe essere una conoscenza che viene da una buona frequentazione, da un ascolto aperto, da un discernimento sincero.
Qui la faccenda si fa seria e in qualche modo “rimbalza” verso noi adulti: siamo sicuri che siano loro i fragili? Siamo sicuri che le incertezze appartengano solo alla loro età o alla loro generazione? O che siano solo frutto della pandemia? I racconti di chi si sforza nelle diocesi di tessere il lavoro complesso del cammino verso Lisbona, restituisce anche la fatica degli adulti. Forse più dei giovani, li si trova sfiduciati e stanchi; la voglia di andare a cercare e coinvolgere i ragazzi si affievolisce. Ripeto: non si tratta di difendere una forma pastorale che sarà sempre limitata e che potrebbe persino terminare (accadrà prima o poi, la Gmg non è tutto il Regno di Dio…). Si tratta però di cogliere le opportunità che la storia ci offre: intanto c’è un appello del Papa, c’è un movimento nella Chiesa, ma soprattutto c’è il desiderio dei giovani di tornare a vivere un’esperienza di amicizia fraterna attraverso un viaggio che apra loro le porte della vita e della fede (che poi sono la stessa cosa). Natale è attesa e rinascita. La piccola attesa di questi tempi è segno di un’attesa più grande, del compimento definitivo che passa nei brevi passi della nostra esistenza. Sentiamo forte il bisogno di rinascere: incontrare e accompagnare i giovani aiuterà noi adulti a ritrovare ragioni di vita. Il cammino verso la Gmg tende a coinvolgere i ragazzi, ma ho il sospetto che farà persino più bene a noi adulti: che l’impegno a non scoraggiarci sia parte dell’augurio di un buon Natale!